Io non so cosa hanno provato
intimamente i miei compagni di squadra durante le loro corse, il loro muoversi
verso ovest: il punto cardinale chiamato Buggerru. Non riuscirò mai pienamente
a sapere e comprendere cosa ricorderanno di quel rientrare affaticati, del solo
aver sperimentato per sport una piccola parte della dura fatica che si è
consumata in questi territori, di questo terreno denso di storia mineraria. Ma
questo racconto è anche per loro, per la loro passione e la loro dedizione ad
uno sport che prende ma che sa anche donare molto: se ti metti un attimo a
riflettere, se sai cercare e trovare. E il riassunto di questa ricerca sono i
complimenti che si scambiano a fine gara sotto forma di parola e pacche, sono
la consapevolezza che ognuno dei presenti è stato bravo, ha onorato la gara, e
lo sai perché tu hai vissuto quello che hanno vissuto loro e sai in qualche
modo cosa vuol dire!
Questo sarà il mio punto di
vista.
Si può allora pensare che il
Trail del Marganai non è solo una gara, personalmente la individuo più come un
percorso di vita. Le gare di 4 o 5 ore mi danno sempre questa impressione,
specie se con dislivelli importanti. Non ho mai fatto di peggio, ma questo è il
peggio che sono riuscito ad affrontare fino ad ora, è la gara più dura che personalmente ho
sconfitto. Si, perché il Marganai lo si può anche sconfiggere se lo si
rispetta. Penso alla mia bravura, e alla bravura dei miei compagni, agli
allenamenti che hanno fatto per arrivare a sorridere dopo un’esperienza di
questo tipo. Penso alla notte, a quella pioggia che scende, al clima nonostante
tutto confortevole, alla strada bagnata prima di entrare nell’oscurità della
grotta e ai corridori che scappano già verso il traguardo e si perdono nelle
tenebre in cui ti inghiotte la roccia. Ti trovi a partire, ti senti piccolo e
smarrito se non segui chi hai davanti. Sei già in difficoltà, ma poi,
trattenendo la tua integrità la luce ritorna, più luminosa di prima. Qualcuno
ti aspetta: facce amiche. E’ ora di correre verso la prima salita. Senti un
brivido di freddo e allora alzi lo sguardo verso il cielo: leggere nuvole che
sembrano nebbie grigie che si disperdono lasciano spazio ad un azzurro chiaro e
profondo, spaziale. Non pioverà, sai già che farà una buona giornata. Corri
verso i raggi del sole che presto arriveranno. E’ come rinascere dal buio di un
freddo parto litico, verso nuove esperienze che mai hai visto: vedrai la
manifattura della natura e dell’uomo all’opera. E dopo i tuoi primi passi è
subito salita, sempre più dura, con tratti di roccia e pietre che si
inframmezzano alla terra dei sottoboschi. Affronti di nuovo delle oscurità, ma
la speranza è lì: la luce del sole, ricordi? Km e km di tutto questo, e poi la
discesa, finalmente. Dopo le gocce che ti scendono addosso dai rami e dalle
foglie lungo stretti sentieri, come pioggia fatata che ti idrata e purifica con
la sua freschezza mattutina, rivedi ampi spazi e aria tersa dove la vista può
spaziare. Segni di vita: ehi, uomo, sveglia! Hai fatto solo la primissima
parte. Ora, per un attimo, basta sentirsi solo nel viaggio! Togli la giacca
impermeabile e senti i raggi. Un pensiero ti passa per la testa: ora si fa sul
serio. Ma subito dopo ritorni umile. Torni a salire, e con la salita torni
padrone dei tuoi limiti umani. Senti le gambe che si vogliono già ribellare,
per un po’ ti senti tradito dalle asperità che tanto rispetti. Poi, invece, la
difficoltà arriva proprio da quella discesa che dovrebbe farti ritemprare,
respirare. Si respira, effettivamente, ma solo per i paesaggi fatati e i
panorami potenti e immensi, che ti spezzano il fiato: l’aria la introduci dopo
con la seguente meraviglia. Ma tu devi guardare dove metti i piedi, sennò
cadrai, mentre chi diventa tutt’uno con il terreno vola. Tu puoi solo bloccarti
se non entri in sintonia con quello che le piante dei piedi ti trasmettono, e
se non fai questo puoi solo perdere tempo. Cadi, rischi di farti male, e
capisci quale deve essere il modo di procedere, questa volta sarà così, ti
senti tradito anche dalla discesa amica: fai il signore, lasci perdere e ti
adegui, puoi già vedere la bellezza di questa scelta. E se alzi lo sguardo
anche la gara che ogni tanto riappare in testa sparisce, tu rimani rapito. Ti
fermi per i tuoi bisogni e sorridi al fumo bianco che ti si leva da tutto il
corpo: che magnifica giornata sta per fare! Poi il panorama si chiude. Scendi
tranquillo e composto, evitando tutto quello che devi evitare, vieni premiato
da poca stanchezza e da un percorso che sembra non finire mai, ma che poi si
dischiude presto sul ristoro: bevi un sorso d’acqua e subito ti spingi verso strappi
di oltre 1km! I fuoristrada qui scendono con i freni tirati. Tu guardi verso
l’alto e gli scorci ti rinchiudono nel tuo io. Aspettavi queste salite e ne
rimani impressionato, è dura, più di quello che pensavi. Pensi che ti sei
allenato. E il paesaggio è più bello di quello che pensavi. Hai fatto tante
salite nei monti di casa e qui sei in una terra selvaggia, sconosciuta, che
dovrebbe nutrirti. E allora ti nutri. Ti fai piccolo e stretto, ti accorci, e
piccoli passi, infiniti passi, ti fanno arrivare in cima una volta, e anche la
seconda! La strada sale sempre, anche nel piano fai fatica. Una discesa eppure c’è
ma non ti sembra quella che è, e neanche più la ricorderai. E poi Antas, anche
per il tempio è sempre salita. Una piazza naturale, con un fotografo che si
illumina di riflessi solari in lontananza, tu che sorridi, guardi le altre
salite, i monti lontani che dovrai scalare. Sorridi, perché i boschi si fanno in
parte erba e pascoli: la visuale ti rende ottimista. Stai già crollando
fisicamente ed emotivamente ma la pietra del tempio è come te, forte e
inarrestabile al tempo. Bevi veloce, ricordi il tempo che scorre: è ora di
continuare a correre. Torni a salire, ti senti nuovamente smarrito e subito
dopo determinato, le gambe si muovono sempre piano: da quando sei partito
qualcosa non va e ti senti più lento del solito. Sto correndo bene o malissimo?
Sono bloccato o la gara è più dura di quello che sembra? Anche i tratti di
piano sembrano un tapis roulant al contrario. O forse il terreno ti assorbe
energia? Ma tu hai mangiato, sai che le energie sono da qualche parte. Scorrono
i km, tu pensi alla vita, a cosa sei, cosa hai fatto, perché sei e fai, continui,
ti adegui, e non ti fermerai! Più vai avanti e più non ti fermerai! Perché
Malacalzetta è lì dietro e già vedi le antenne dell’ultima salita. La strada nel
frattempo si è rifatta larga, vedi meglio gli ampi spazi. Mancano quelli che
sembrano 14 o 15 km. La strada si fa desertica, un deserto verde intorno. La
strada, brulla ma piacevole, nonostante tutto ti rinfranca. Le pozzanghere di
acqua ghiacciata, sul largo sentiero che rende i tuoi passi sempre più inutili,
nonostante tutto ti distraggono. Ti senti sempre lento ma quasi inarrestabile.
Tu sei il maestro del tempo, e il tempo lo controlli. Ed è già ora dell’ultima
salita, prima dell’ultima discesa, prima dell’ultima salita, prima dell’ultima
discesa: queste ultime sono solo e semplicemente quelle che dovrebbero essere
le peggiori. Evviva, verso le antenne! Inizi a lasciare alle spalle anche Malacalzetta,
lungo una salita che non vuole aiutarti: infida, bastarda! Ma non la farai mai
vincere: io non mi fermo, non rallento! Ti ricordi che tutto sommato non hai
quasi visto niente dei bellissimi panorami e luoghi che hai attraversato,
sempre concentrato. Ti giri e guardi verso il basso: qualcuno mi insegue: è già
da circa un km che mi vuole raggiungere. Si sarà accorto di me? Chi può essere
della 47? Mi faccio qualche idea. Vado avanti. Altro ristoro: bevo, riparto. La
discesa sarà come le altre: faccio fatica ad andare svelto, e ben presto sento
presenze umane dietro di me. Tutti ti superano, sono i concorrenti della 27 km!
E’ vero: sono già oltre il ricongiungimento del percorso. Ti sfrecciano affianco
al doppio della velocità, in discesa sono degli animali professionisti da trail.
Li fai passare prima che ti travolgano. Mi sembrano degli Dei: un tempo anche
io forse sapevo fare qualcosa del genere, o sono solo stanco? Non hai timore,
dopo c’è la salita: voglio solo arrivare a quell’ultima salita. Forse sto
risparmiando le energie per quella da quando sono partito. Spesso ho pensato
solo e semplicemente: Davide, devi finire la gara, il ritiro non esiste, è il
tuo primo obiettivo. Ascoltati. La salita come paradiso, ti porta al paradiso,
e la discesa è un inferno in cui le gambe hanno paura, paura di cadere, di faticare.
La salita è così benevola: più fatichi più ti toglie un peso, finché non ne
rimane più. Ed eccola, sempre più dura, con tornanti strettissimi. Ad un certo
punto i concorrenti della 17 km che si infilano, infilzano nel tuo sentiero: insieme
a te verso la vita, la festa, la fonte della giovinezza dei giardini Linasia.
Sembra di compiere un ultimo sforzo, l’apice di ciò che si possa compiere oggi,
quando cerchi di moderare la tua forza con cui ti tieni al corrimani in legno
degli scalini che devi affrontare: sembrano quasi metterti alla prova: se non
sei degno si staccano e precipitano indietro insieme a te. Ma ti fanno passare:
ti ritrovi nell’Eden e trovi subito il ristoro! E invece qui si aprirà ben
presto l’ultima vera prova prima del grande finale. Le antenne vanno
conquistate. Si sale e si sale, immerso in concorrenti che non sono della tua
gara ma che ti distraggono, ti stimolano, anche se loro potrebbero non esserne
consapevoli. O forse si? Ti salutano, ti nominano, certe volte sembra di
correre insieme, come tanti escursionisti, come tanti affamati verso un
banchetto, o verso la salvezza? Cerchiamo un calice da cui bere? Siamo attratti,
da quale forza angelica? Tutto ti porta inconsciamente a togliere altre forze
per continuare a salire. L’ultima ascesa è una prova di pazienza, sembra
infinita. Ma se trovi la calma vedrai, come se fosse sempre stata lì ad
aspettarti, e spuntare all’improvviso, dove sempre pensavi di averla già vista
tantissime volte, una freccia che va verso il basso. La tua calma, se è rimasta
serena, ti farà affrontare l’ultima discesa con piacere, anche perché ormai
avrai imparato a scalare i pendii al contrario. I minuti al km quasi si
assomigliano: ti renderai conto che certe volte ti sei mosso alla stessa
velocità, sia verso il basso che verso l’alto, lungo tratti che non sono di
percorsi terreni. La discesa interminabile ti viene in aiuto, ora finalmente
si! E ti toglie anche la monotonia con brevi salite, odiate: finalmente ti
senti un po’ libero di maledirle, schernirle. Siete finite: cari D + non mi
avete piegato! Loro sono solo un ricordo di quello che hai affrontato, sono prima
degli ultimi 3km, dove gli occhi ora si godono lo spettacolo che si concretizza
in esclamazioni. Dopo tanto tempo mi sembra di parlare per la prima volta! E’
quasi fatta. Le pendenze diminuiscono, il bosco lascia strada all’asfalto. Niente
è duro se non finisce duramente: l’arrivo sembra ancora lontano e innumerevoli
macchine parcheggiate ti fanno da contorno. Non sembra possibile avere una così
lunga scia di contemporanea tecnologia affianco. Tu spingi con tutta l’energia
che hai quella liberazione che ti sfocia fuori. Si giunge, si gira un’ultima
volta: sei arrivato! L’applauso è il tuo premio, e te lo sei meritato
sicuramente, perché veloce o piano, poco o molto, hai corso al soddisfacente
Trail del Marganai! Bravissimo Alberto Crobu! Bravissimo Alessandro Dessì!!
Bravissimo Carter!!! E bravissimo anche il nostro amico Tino!!! Bravissimi
tutti!!!
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